S E M I D A - arte, natura e ambiente sul Monte Limbara
Clara Bonfiglio, Giovanni Campus, Erik Chevalier, Paola Dessy, Bruno Petretto, Pinuccio Sciola, Giovanna Secchi, Monica Solinas
Risposta sussurrata ad una comunicazione eccessiva, ad una provocazione che rischia di essere sempre più il fine e non il mezzo della ricerca artistica, la Land Art, o Earth Art, nasce alla fine degli anni Settanta concependo opere che riescano a dare nuova dignità ad un territorio ignorato, intervenendo direttamente sulla natura, "insinuandosi" in essa, recuperando il senso profondo del silenzio e del contatto con le radici, fisiche e metaforiche. È in questo contesto che, all’interno dei grandi progetti visivi del Time in Jazz e in collaborazione con l’Ente Foreste della Sardegna, nasce Semida museo di arte e natura, realizzato sul Monte Limbara, dove la severa maestosità della natura si svela in un selvaggio trionfo, Semida – sentiero nella lingua locale – procede attraverso percorsi ben più misteriosi rispetto al puro godimento estetico e la ricerca concettuale.
Gli artisti intervengono sul luogo con opere appositamente pensate e realizzate cercando di entrare in risonanza con il paesaggio attraverso una profonda riflessione sui rapporti etico-estetici. Le forme e i colori dell’arte si uniformano ad una legislazione antica e assoluta come quella della natura che diviene, contemporaneamente, ispirazione, creatrice e giudice dell’opera d’arte.
Chi sale dal sentiero principale viene "accolto" da un intreccio sorprendente di rami forti come sentieri e sentieri che si ramificano per tutto il paesaggio. In questo labirinto ne appare un altro, quello proposto da Clara Bonfiglio con il suo lavoro: una porta in metallo con intagliato sopra la scritta "attraverso" che dà il titolo all’opera. Una porta… attraverso… andare oltre un limite divenuto soglia, ingresso verso una dimensione altra. Una scritta, spazio intagliato, negato, da un foglio di metallo nero emerge il nulla che prende i mutevoli colori della natura.
Un sottile schermo di plexiglas arancio è invece l’opera di Monica Solinas. Una finestra, soglia che non contempla alcun tipo di attraversamento se non quello ottico-mentale; una sorta di stop obbligato, imperativo dalla duplice finalità: da un lato cornice che esalta la bellezza della natura e ce ne ricorda l’insoluto mistero; dall’altro ricordo della nostra estraneità: non facciamo parte di questo misterioso mondo e quando vi entriamo non è mai dalla porta principale.
E, procedendo nel cammino, si è attratti dall’opera di Pinuccio Sciola, la forza della roccia trattenuta da una catena di ferro che congiunge i massi di granito, si snoda, attraversa la montagna. Sciola imbriglia la natura attraverso linee sinuose e, paradossalmente, attraverso catene ne restituisce l’indomita libertà. Opera come privilegio, come se la natura fosse talmente generosa da prestarsi al gioco nella tacita consapevolezza che la sua forza dirompente potrebbe piegare queste e ben altre catene.
Poco discosto l’intervento di Bruno Petretto: una gabbia metallica incornicia un enorme masso che già artisti secolari come gli agenti atmosferici hanno plasmato in forme di levigata bellezza. Il rigore delle linee metalliche esalta la plasticità di quelle naturalistiche e la gabbia diventa teca protettrice attraverso la quale ammirare la potenza e la sacralità del luogo.
La recente opera di Giovanni Campus è una grossa corda tesa attraverso il paesaggio ad organizzare percettivamente e emotivamente lo spazio, svelando significati antichi e ne crea di nuovi attraverso una tensione che non è solo propriamente fisica ma, anzi, fortemente allegorica.
Arte dunque come misterioso percorso – Semida –, continuo divenireche non si oppone alla natura ma ne svela le meraviglie, sentiero in cuiperdersi per poi, finalmente, trovarsi.
Sonia Borsato
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