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Frammenti di storia  

Non si hanno dati certi sull'origine del toponimo Berchidda, ma sono diffuse alcune ipotesi fra le quali riportiamo qui di seguito le più accreditate. Secondo alcuni studiosi il suo nome deriverebbe dal tedesco Berg (montagna); per altri avrebbe origine dal latino pergula (pergolato); altri la farebbero discendere dal termine latino quercus (quercia). Per altri, infine, scaturirebbe da un'etimologia preromana (forse nuragica) della quale si è perso il significato.

La presenza dell'uomo è attestata nel territorio fin da 2.000 anni prima di Cristo. Testimonianze si trovano soprattutto nei ripari sotto roccia diffusi un po' in tutta la zona e particolarmente abbondanti nel colle del Monte Acuto. Numerosi dolmens, domus de janas, nuraghi, strutture difensive megalitiche disseminati nel territorio (S. Caterina, S. Andrea, San Michele, Monte Acuto, Giolzia) attestano la presenza di comunità con impronte religiose, sociali e culturali similari. Attività preponderanti di queste popolazioni erano l'agricoltura nelle regioni pianeggianti e la pastorizia in quelle di collina o di montagna. Rimangono molti dubbi sulla penetrazione punica nel territorio. Il ritrovamento di alcune monete del periodo fa pensare, almeno, all'esistenza di contatti commerciali tra le popolazioni locali e i mercanti punici stanziati lungo le coste.

Con la sconfitta dei Punici ad opera dei Romani anche Berchidda fu interessata dalla nuova dominazione. I rapporti tra la popolazione locale e quelle esterna furono caratterizzati da una integrazione, probabilmente forzata dei nuclei che abitavano nelle aree più basse. Queste comunità abitavano in piccole fattorie, di cui rimangono tracce in varie zone, dislocate un po' in tutta la pianura e praticavano la monocoltura cerealicola. Altri nuclei di popolazione locale preferirono sfuggire alla nuova dominazione rifugiandosi nella montagna e dedicandosi ad attività soprattutto pastorali. Il cippo dei Balari, ritrovato presso S. Salvatore di Nulvara testimonia la divisione esistente tra le popolazioni romanizzate e quelle che resistevano. Presso Berchidda passava l'asse viario che collegava Castro con Olbia. In località Silvani sono state individuate tracce dell'unico ponte che permetteva il guado del fiume Mannu. Nelle vicinanze del paese fu rintracciato agli inizi di questo secolo un tesoretto monetale attualmente esposto al Museo Sanna di Sassari; più recente il ritrovamento di alcuni miliari che dovranno essere oggetto di studio da parte degli storici. Scarse testimonianze sono state finora rintracciate sul periodo bizantino (secc. VI-X) riscontrabili forse solo in alcuni toponimi. Di certo le attività produttive subirono pesanti contraccolpi per la difficoltà nel reperire sicuri sbocchi commerciali per i prodotti cerealicoli.

Probabilmente il territorio veniva controllato dalle truppe di stanza a Castro, dove sono state rintracciate in località San Simeone consistenti tracce di fortificazioni bizantine. La popolazione viveva distribuita in numerosi piccoli centri dei quali i principali erano Berchidda, situata più ad occidente, presso il Monte Ruinas, S. Salvatore di Nulvara, Restelias. Con il progressivo distacco della Sardegna da Bisanzio si rese necessario per gli abitanti dell'isola rafforzare in maniera autonoma le proprie difese realizzando delle rocche che avessero funzioni di difesa e di controllo del territorio. Un ruolo di primo piano negli equilibri politici mediterranei assunse il castello di Monte Acuto del quale si tratta altrove. Durante i secoli XII e XIII il territorio di Berchidda fu conteso tra Pisani e Genovesi in quanto zona di passaggio tra Logudoro e la Gallura e area a grande produttività cerealicola. Nel XIV secolo il territorio fu oggetto di contesa politica e militare tra i catalani e l'ultimo giudicato superstite, l'Arborea, del quale Berchidda fece parte per lunghi decenni.

Con il secolo XV i Catalani raggiunsero il completo controllo infeudando il territorio a Bernardo De Centelles. Nei secoli XV-XVIII la dominazione catalana e quella spagnola determinarono una crisi sociale ed economica tra le più gravi che la popolazione abbia conosciuto. Il dominio piemontese in Sardegna coincise con un mutamento radicale nei comportamenti e nelle abitudini dei berchiddesi; dal 1725 in poi l'opera intelligente e saggia dei sacerdoti favorì la trasformazione radicale del paese, abitato da ladri e sfaticati, in una comunità attiva, onesta e laboriosa. Nonostante l'aria e l'acqua malsane gli 883 abitanti riuscirono a ottenere risultati soddisfacenti dalla loro attività agropastorale, ma furono sottoposti ad una esazione feudale tra le più alte di tutta la contea di Oliva. In questo periodo si verificò, a causa di una pestilenza che decimò la popolazione, lo spostamento del centro abitato al di qua del torrente Riu Zocculu; in questa circostanza fu abbandonato il culto di S. Sisto cui era intitolata la chiesa parrocchiale fino ad allora e fu introdotto quello di S. Sebastiano.

Dal 1825 Berchidda entrò a far parte della provincia di Ozieri alle dipendenze del distretto di Oschiri. La presenza di tre chiese prospicienti la piazza principale costituiva una caso unico nell'isola: ai lati della chiesa parrocchiale edificata nel XVII sec. si trovavano la chiesetta del Rosario e la chiesa di Santa Croce. Tra le varie popolazioni dell'isola che vivevano in precarie condizioni economiche i Berchiddesi erano considerati laboriosi e quasi tutti erano proprietari della casa di abitazione e di piccoli appezzamenti di terra nei quali praticavano l'allevamento e la coltivazione dei vigneti.

Le donne erano dedite alla tessitura del lino e della lana e i disegni, da esse realizzati sulle coperte, venivano considerati tra i più graziosi ed eleganti. La consegna della corrispondenza veniva espletata attraverso un corriere che settimanalmente raggiungeva il centro di Oschiri; l'attività amministrativa veniva svolta nella case private del sindaco o del segretario, mentre l'attività didattica durava cinque mesi ed era svolta dal parroco che riceveva una retribuzione pari a 16 lire. In questo periodo si registrarono dei contrasti con i paesi di Oschiri e di Monti per il possesso delle terre; i berchiddesi furono privati dei territori oggetto di contesa con gli Oschiresi, mentre rimasero proprietari dei terreni situati in prossimità di Monti. Nel 1913 fu costituita per interessamento di Pietro Casu la banda musicale.

Gli anni successivi alla seconda guerra hanno visto i berchiddesi abbracciare in maniera convinta e decisa l'ideale cooperativistico. Sono sorte importanti attività nel settore lattiero-caseario (malinconicamente chiusa una delle più antiche cooperative sarde del settore), vitivinicolo, olivicolo; gli allevatori locali sono stati tra i primi nell'isola a credere nella selezione del bestiame soprattutto ovino; a questo proposito costituisce un appuntamento importante per gli operatori del settore la tradizionale manifestazione ovinicola che si svolge nel mese di maggio. Hanno, infine, raggiunto una discreta notorietà prodotti tipici quali vino, dolci, insaccati, carni, pasta fresca. Particolarmente attivi sono gli artigiani che lavorano il legno, il ferro, l'alluminio e il sughero.

Tra i monumenti più importanti figurano le rovine del castello del Monte Acuto che recentemente è stato sottoposto ad alcuni lavori di pulizia e di risistemazione. Alcune mura imponenti, una cisterna per la raccolta dell'acqua, detriti e calcinacci vari costituiscono gli aspetti architettonici rimasti di una struttura di grande rilievo storico che attende ancora di essere sottoposta a studi più approfonditi. Nelle vicinanze è stato di recente scoperto un dolmen che è stato considerato dagli studiosi uno dei più grandi e interessanti del Mediterraneo. Ha riacquistato il suo antico splendore, in seguito ad una intelligente operazione di restauro, lo stupendo altare policromo barocco.

Giuseppe Sini