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12-08-2007, Dhafer Youssef & Nguyen Le  

Pattada, Chiesa di San Giovanni – Ore 18.00
Dhafer Youssef & Nguyên Lê

C’è un pezzo, nell’ultimo disco di Nguyên Lê, che rende bene l’idea: si intitola “Bysance” e vede il chitarrista franco-vietnamita in compagnia del cantante e suonatore di oud tunisino Dhafer Youssef. Come nella Bisanzio del titolo, vi si respira aria di melting pot, di incrocio di linguaggi e culture differenti. Suoni acustici ed elettrici, arcaici e digitali. Echi di oriente e battiti tecnologici, suggestioni mistiche e squarci metropolitani. Etno-jazz? World music? Difficile definire con un’etichetta ciò che si ascolterà nel loro concerto del 12 pomeriggio (ore 18) nella chiesa di San Giovanni a Pattada. I due musicisti incarnano bene l’idea di eclettismo e “contaminazione” culturale. L’uno è di genitori vietnamiti ma è nato (nel 1959) e vive a Parigi, e del cosmopolitismo della “ville lumière” sembra portare più di una traccia nel suo DNA musicale. Ultramarine, il gruppo di cui Nguyên Lê è cofondatore nel 1983, guarda all’Africa e ai Caraibi. In Tales from Viet-Nam, il suo disco del 1996, rilegge la musica della sua terra d’origine con un gruppo che affianca musicisti tradizionali e jazz. Due anni dopo, Maghreb & Friends, frutto della collaborazione con il batterista algerino Karim Ziad, esplora invece la tradizione musicale magrebina. In Bakida, album del 2000, prova a sintetizzare le culture musicali che ama e che lo ispirano: il rock, il blues, la musica “colta” occidentale e quella tradizionale della sua terra d'origine, ma anche del Maghreb, dell'Africa nera, della Spagna, del Medio Oriente. Anche Purple (del 2002), il suo bestseller con diciottomila copie vendute, riflette la stessa vocazione a superare barriere e confini nel rileggere le pagine più belle di un eroe del rock come Jimi Hendrix. E così pure Homescape, l’album più recente di Nguyên Lê (è uscito l’anno scorso), si pone aldilà delle categorie tradizionali: disco molto elettronico, improvvisato e mistico, registrato fra le mura del suo appartamento parigino (come suggerisce il titolo), vede duettare il chitarrista ora con Paolo Fresu, suo compagno di tante imprese (compresa la militanza nell’Angel Quartet), ora con Dhafer Youssef, appunto.
Virtuoso dell’oud (il liuto arabo) e cantante dalla straordinaria estensione vocale, questi è nato a Teboulba, in Tunisia, quarant’anni fa e cresciuto a contatto con la musica e i canti tradizionali islamici prima di approdare in Europa. A Vienna, dove arriva appena diciannovenne, ha la possibilità di suonare con artisti come Iva Bittova, Peter Herbert, Renaud Garcia-Fons, Christian Muthspiel e intraprendere un percorso che lo porterà ad imporsi come una delle figure più interessanti della scena musicale degli ultimi tempi. La sua musica è radicata nella tradizione Sufi ma sempre aperta alle idee e alle influenze di ogni altro genere,  soprattutto al jazz. Attingendo alla sua ricca tavolozza di colori e stili, Dhafer Youssef elabora in Malak, disco del 1999, una miscela elettrizzante di lirismo arabo e improvvisazioni jazzistiche facendosi affiancare da un organico che schiera, tra gli altri, il trombettista Markus Stockhausen e Nguyên Lê. Una formula sviluppata e perfezionata nei successivi Electric Sufi, uno dei dischi “crossover” più apprezzati del 2001, e Digital Prophecy (2003), dove la presenza di musicisti come il chitarrista Eivind Aarset e il batterista Rune Arnesen, amplifica la dimensione trance e ipnotica della musica di Dhafer Youssef. Il recente Divine Shadows consolida le idee emerse nei precedenti album e ne introduce di nuove. Merito anche dei musicisti raccolti intorno alla voce e all’oud del tunisino, tutti nomi di primissimo piano della scena “nu-jazz” norvegese: il trombettista Arve Henriksen e Jan Bang con i suoi suoni elettronici (due fra i protagonisti dello scorso Time in Jazz), la percussionista Marylin Mazur e il bassista Audun Erlien, oltre ai già citati Eivind Aarset e Rune Arnesen.