Time in jazz si veste di rosa per un omaggio tutto al femminile all’indimenticabile Fabrizio De Andrè. Il pomeriggio del 10 agosto (ore 18), a tener banco all’Agnata, la località nei pressi di Tempio Pausania che il grande cantautore elesse a uno dei suoi luoghi di ritiro preferiti, due protagoniste assolute del jazz italiano: Maria Pia De Vito e Rita Marcotulli. La cantante napoletana e la pianista romana si conoscono personalmente e musicalmente da una ventina d’anni, ma solo nel 1994 iniziano a dare forma a dei progetti comuni: con Nauplia esplorano insieme le possibilità di sintesi tra elementi della cultura musicale napoletana, mediterranea, e l’improvvisazione jazz. Consegnato ai solchi dell’omonimo disco, Nauplia è anche la scintilla che fa scoccare la fiamma di un sodalizio artistico destinato a rafforzarsi nel tempo.
Le due musiciste si ritroveranno ancora nel ’96 per dare alle stampe Fore paese, un lavoro monografico sulla musica del drammaturgo Raffaele Viviani, e poi in Triboh, altro progetto di "spaesamenti" musicali, dove sono in compagnia del percussionista armeno Arto Tuncboyaciyan. Ognuna delle due musiciste ha percorso negli anni strade differenti, ha arricchito il proprio patrimonio creativo nell’incontro con artisti anche di ambiti non jazzistici, e ha quindi portato nuova linfa e nuove idee all’interno del duo. Il risultato è l’accostamento del vasto patrimonio comune sul piano dell’interplay e del gusto per la ricerca compositiva, con uno sguardo alle possibilità sonore offerte anche dalle nuove tecnologie, utilizzando anche sequenze, suoni "composti" da sovrapposizioni di campionature, stratificazioni ritmiche e vocali, loops creati estemporaneamente dalla sola voce.
Forte valenza improvvisativa, quindi, ma anche grandi spazi lirici, dinamiche ai confini del silenzio, da sempre "ambiente" ideale per il pianismo personale e lirico della Marcotulli, e per la ricerca sul "suono" della voce della De Vito.
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Ero piccola, avevo nove o dieci anni, quando in casa mia si materializzò un disco di De Andrè. E mi fece in qualche modo da traghettatore dall’infanzia musicale all’adolescenza. Era la prima volta che sentivo canzoni che parlavano di ladri ed assassini, di graziose bambine e puttane, della follia dell’uomo che spara ad un suo simile nel macello autorizzato delle guerre. Con la stessa compassione, piena di rispetto, senza patetismi.
Bocca di Rosa. Via del campo. Ero affascinata e scandalizzata. La parola puttana in casa mia non si era mai detta. A scuola dalle suore men che meno. Ed ecco che questo signore dalla voce scura e rotonda, pacata al punto da sembrare indolente, cantava dei perduti, dei rejetti, e c’era su di loro una luce, c’era amore e asciutta partecipazione. E capii che nella qualità stessa del suono della sua voce, nella sua "grana" unica e irripetibile, nella sua calma accogliente, c’era quel "conduttore" potentissimo, che faceva arrivare quelle storie in un punto segreto del mio cuore, dove potevo commuovermi per l’assassino, per una bimba dagli occhi grigi come la strada, per il soldatino nemico di Piero, per i campi di grano, per il pescatore assopito.
Nelle sue storie lacrime gratuite mai. Risate e ironia, graffio e asprezza, quell’essere "parte di tutte le parti", per dirla alla Celan, sono la pecora sono la vacca, il capo indiano, il nano. Tutto evidente, tangibile nello spessore, nella profondissima quiete della sua voce.
Una felicità poter cantare lui e di lui, un ringraziamento profondo da parte di Maria Pia a nove anni. Canterà sicuramente anche lei.
Maria Pia De Vito |