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3. Paolo Fresu: L'altra metà del jazz
 
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3. Paolo Fresu: L'altra metà del jazz  

L’altra meta’ del jazz
di Paolo Fresu

Sul settimanale Donna Moderna del 24 Maggio scorso, Maurizio Dalla Palma scrive in un articolo dedicato al jazz e alle donne: "Quando sentite il suono di un sax vi tappate le orecchie? Un assolo di tromba vi annoia a morte? Siete in buona compagnia. Perché, a quanto pare, le signore non amano la musica dei neri d’America. Eppure in quelle note c’è passione, sentimento e fantasia. Capace di parlare al cuore. (…)"

Chissà se poi è così, ma certo è che quando si parla dell’universo femminile gli argomenti sono sempre il cuore e i sentimenti, quasi a dire che i maschietti il cuore non lo hanno ed i sentimenti li lasciano a casa quando escono la mattina.

Se poi si tratta di jazz, beh, tutto si fa ancora più complicato. "Questa musica esprime un’aggressività molto maschile. Il suo ritmo è spezzato. In apparenza disarmonico", spiega la sassofonista Cristina Mazza intervistata per lo stesso articolo, "in più è suonato con strumenti per tradizione ‘da uomini’ (…) e l’immagine del jazz è legata ai locali fumosi e malfamati. Al mito di artisti spesso divisi tra la passione per la musica e quella per la bottiglia. O per la droga".

E poi Paolo Conte canta in un vecchio brano che le donne odiano il jazz!

Insomma, non sarà mica una congrega? Una sorta di movimento sociale a favore dell’uno o dell’altro sesso in cui i maschietti però sono brutti e cattivi (e dunque suonano il jazz), e fanno scappare le signorine con orrende note e suoni laceranti cosicché dall’altra parte c’è un fuggifuggi generale?

Non credo proprio. Anzi spero proprio che non sia così.

Anche se è vero che nel mondo del jazz le donne musiciste non sono tantissime, è però altrettanto vero che, ripercorrendo la storia di questa musica dall’inizio del secolo ormai passato, troviamo non solo donne musiciste (naturalmente molte cantanti, ma non solo) ma anche donne (una per tutte la baronessa Nica de Koenigswarter alla quale il pianista Thelonious Monk ha dedicato il celebre brano Pannonica) che hanno amato questa musica al punto da farne la propria ragione di vita come se si trattasse di una missione. Ed è vero, purtroppo, che tale missione, in quegli anni, era redimere artisti un po’ alla deriva, geni incompresi consumati dalla droga e dall’alcool, mariti o amanti come bambini incapaci di camminare con le proprie gambe, ma, fortunatamente, non è questa l’unica ragione perché nel jazz si è sempre celata una grande energia emotiva, una forte contraddizione ed un contrasto che bene si sposano al femminile.

La musica che può toccare il cuore non è dunque solo quella priva di ritmi spezzati e disarmonie ma piuttosto quella suonata con l’anima e con forza interiore, qualsiasi essa sia e qualsiasi stato d’animo rappresenti. E’ quella che racconta a tutti, grandi e bambini, uomini e donne, attraverso un linguaggio che è universale in quanto diretto, in comunicazione con lo spirito. E’ del resto la ragione per la quale abbiamo scelto di suonarla ed ascoltarla. E’ spontanea e dunque libera.

Ma quale è il sesso del suono del jazz?

E’ maschile o femminile quello di Miles Davis, chiaro e asciutto con la sordina (riascoltatevi la mitica versione di ‘Round About Midnight del 1956), scuro e onirico con la tromba aperta, oppure quello di John Coltrane dalle tinte forti sia al sax soprano che al tenore? O ancora quello del "Duca" Ellington con gli impasti orchestrali a cavallo tra l’Africa e l’Europa, o quello free di Ornette Coleman o Don Cherry? E quello di Louis Armstrong?

Di certo il suono di Miles è un suono femmineo, ma direi anche quello di Coltrane e di Ellington e di tanti altri, perché il suono è Donna in quanto rappresenta l’anima e l’anima ha un sesso.

Azzarderei quindi a dire che il Jazz è Donna e non solo piace alle Donne, ma quando sono loro ad interpretarlo si apre un mondo nuovo fatto di sottili colori che a Berchidda si arricchiranno di nuances e di brume estive.

Sempre nell’articolo sopra citato c’è un piccolo dizionario esplicativo nel quale alla parola Free jazz si legge "Stile degli anni sessanta. Difficile da ascoltare per i non esperti", mentre alla parola Jazz freddo si legge "Una musica fatta di melodie dolci. E’ il jazz dei bianchi (…)".

E quello dei neri come sarà, il jazz?

Immagino che la cantante Jeanne Lee (dolcissima e nera) ci dimostrerà che ciò non è vero, ma come la mettiamo con il pianista antillese Alain Jean-Marie che bianco non è ma neppure scuro?

Tutto questo ed altro lo scoprirete in questa tredicesima edizione di TIME IN JAZZ tutta (o quasi) al femminile. Benvenuti!

Paolo Fresu