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3. Paolo Fresu: Musica e follia  

Musica e follia
di Paolo Fresu

"Io lavoro sulla musica perché si trasformi in una scienza magica. Ho dedicato la mia vita a quest'arte, e devi dimenticare ciò che la gente può dire di te. Devi andare e diventare pazzo, è quella che loro chiamano follia. La follia è come il paradiso, una volta che hai raggiunto il punto in cui non te ne frega più niente di quello che gli altri dicono, sei vicino al cielo..."

Jimi Hendrix

Jimi Hendrix non era di certo un jazzista, ma dal mondo del jazz è stato molto amato. Miles Davis pare avesse in mente di registrare con lui, e diversi altri artisti di ieri e di oggi hanno dedicato dischi e progetti alla sua musica senza tempo, da Gil Evans fino a Nguyên Lê, presente lo scorso anno nel nostro festival proprio con un lavoro imperniato sul mitico chitarrista di Seattle.

Forse perché la follia di Hendrix era la stessa del jazz. O forse perché egli era capace di stare sul palcoscenico come Charlie Parker o John Coltrane, alla continua ricerca dell’oblio e del non conosciuto. Perché ognuno era al perenne inseguimento di quella ispirazione che si coglie solo per un attimo, come un treno in corsa che passa a velocità folle e nel quale bisogna saltare sopra repentinamente. Quella ispirazione che, come diceva Hendrix, "ci fa sentire più vicini al cielo" e che genera talvolta quella follia della quale si raccontano aneddoti divertenti o dai risvolti tragici: sono le storie intorno alle figure dei vari Albert Ayler, Thelonious Monk, Charles Mingus, ecc. Storie dei tanti musicisti di jazz dalle personalità complesse ma anche dei tanti artisti, contemporanei e non, di tutte le musiche e di tutti i linguaggi.

Ma è questa la follia che racconteremo durante la diciassettesima edizione del Festival internazionale TIME IN JAZZ? O proveremo piuttosto ad indagare sul rapporto tra genio e creatività? Quell’equilibrio sottile tra apparente instabilità psichica e razionalità o irrazionalità creativa?
Come sempre non lo sapremo fino alla fine, ma partiremo ponendoci comunque una domanda precisa: esiste realmente una relazione tra genialità artistica e follia?

Se molti, nei campi più disparati dell’arte, sono stati realmente folli o schizofrenici, non dovrebbe essere difficile per noi associare una certa follia alla biografia di alcuni artisti artefici di quelle opere che Jung, ad esempio, nei suoi scritti sull'arte definisce "visionarie". Tuttavia le eccezioni sono tante, e in ogni campo dell’arte, come del resto per ogni singolo artista, riscontriamo casi unici e diversi tanti quante sono le evidenti soggettività dell’artista stesso e della sua potenziale solitudine.

Lo psichiatra e filosofo esistenzialista tedesco Karl Jasper, nel confronto tra alcuni geni folli (Strindberg, Swedenborg, Hölderlin, Van Gogh…) e altri folli non geniali, affermava già negli anni Venti che la schizofrenia, ad esempio, non è creativa in sé ma dipende dal terreno su cui essa si impianta.  Se ciò corrisponde alla realtà, tutto è apparentemente da rivedere e, come dice Jasper, "se i germi spirituali preesistono alla malattia, questa è piuttosto la condizione perché la profondità si schiuda", ammesso che di malattia, nel nostro caso, si tratti…

Del resto anche Kant, in seno alle teorie tese tra estetica e subliminalità dell’arte, ha scritto: "Non si saprebbe acquisire la conoscenza intuitiva di un altro mondo senza sacrificare una parte della ragione che ci è necessaria in questo mondo"; mentre Jasper scrive ancora: "Così come una perla nasce dal difetto di una conchiglia la schizofrenia può far nascere opere incomparabili.  E come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così di fronte alla forza vitale di un'opera non pensiamo alla schizofrenia che forse era condizione della sua nascita".

Ci chiediamo dunque se la follia creativa possa essere un difetto o piuttosto una condizione di disagio o di estremo privilegio. Se la drammaticità e la tensione tra lo scuotimento dell’arte/caos e la potenza dell'immediato dà linfa alla follia e dunque all'esigenza di darle forma, potrebbe essere questa tensione a rendere possibile la visione del poeta, del pittore o del musicista? O forse il sogno di una pienezza armoniosa in cui l'uomo/artista non sia separato dall'assoluto e dal divino? 

Dirà Van Gogh: "...io so che la guarigione viene, se si è coraggiosi, dal di dentro, con la rassegnazione alla sofferenza e alla morte, con l'abbandono della propria volontà e dell'amor proprio". Come a dire che un senso di instabilità e di precarietà dovuta all’atto creativo cerca da una parte un processo liberatorio, e dall’altra una medicina guaritrice nell’introspezione dell’arte.

Ma cosa è per noi questa follia che stiamo inseguendo? E’ Erasmo da Rotterdam, nel brillante e satirico scherzo letterario "Elogio della follia" dedicato a Thomas More/Tommaso Moro in forma di divertissement , a richiamare alla mente la follia greca Moria. Per Erasmo è la follia in persona a parlarci avvertendoci che il mondo va alla rovescia e quindi, se è la realtà ad essere invertita, sarà attraverso la follia che potremo forse vederla dal giusto verso.

Ma la follia a volte è anche quella impossibilità di accettare lo sconosciuto ed il diverso, come nel caso del copernicanesimo di Giordano Bruno mandato al rogo non solo per avere immaginato la presenza di altri mondi, ma per aver intuito il rivoluzionario "linguaggio per pensare per immagini", laddove dall’apparente follia inquisitoria esce fuori un potente metodo (che egli definì l’Arte delle Arti) che è l’Arte di pensare fatta di immagini, in sostituzione della tradizionale lingua per comunicare, fatta di suoni.

Magari è la linfa vitale del suono stesso, dell’immagine o del gesto che rende inquieti nell’urgenza espressiva? Erasmo da Rotterdam utilizza nel titolo originale della sua famosa opera Moriae enkomion, id est, stulticiae laus. Moria, dunque, ovvero Stultitia. Il primo termine viene dal verbo greco moraino, essere stolto, insipiente, da cui l'aggettivo moros, semplice, stolto, insensato. Il secondo, stultitia, dal latino più antico stolidum, poi trasformato in stultum, sempre con il significato di sciocco, stupido. Questi due termini non hanno il significato di follia nel senso di dissennatezza, di pazzia come patologia della mente, per il quale il latino usa il termine insania o anche furor quando si vuole aggiungere una connotazione violenta, ma lo acquistano solo per estensione. E’ la semplicità che parla attraverso la follia, la natura contrapposta alla cultura, anche se poi infarcisce il suo scritto di numerosissime citazioni e riferimenti culturali. Erasmo la esalta ma condanna le follie degli uomini; ridicolizza gli stoici e i moralisti (proprio lui che praticò rigorosamente lo stoicismo) e si fa paladino dell'innocenza originaria. Proprio lui, uomo di lettere e dotto umanista, cultore e raffinato conoscitore del latino e del greco.

E’ la follia dell’innocenza, dunque, quella intorno alla quale verterà la nostra indagine, e anche quella del racconto e del volersi mettere a nudo ogni giorno attraverso la propria arte per cercare un senso alle cose e per trovare una propria collocazione nel tempo e nell’universo. Con il proprio strumento, la propria voce, il pensiero, le mani, il corpo…

Ognuno degli artisti presenti alla diciassettesima edizione di Time in jazz, siano essi musicisti o artisti visivi, contribuirà a sciogliere i nostri dubbi o semplicemente ad alimentarli ponendo una istanza più o meno precisa sul senso dell’atto creativo, sull’urgenza espressiva e sulla generazione e degenerazione dell’arte che, a volte, diventa agio e disagio, schizofrenia e follia.

Non dimenticando però l’altro senso folle di quest’anno che si riallaccia tematicamente e con vari pluri-significati ai temi esposti in passato, e in particolare al Sogno di Orfeo del 2001 e Quadri di un’Esposizione del 2002: la favola di Orfeo cantore e ammaliatore si sposa con la celebre "introduzione per cinque trombe" dell’Orfeo monteverdiano, primo "passo" musicale verso il suono/lin= fa/immaginazione della tromba, mentre il compositore russo Modest Mussorgskij prende spunto dall’opera pittorica di Hartmann e la sua altrettanto celebre composizione diviene pretesto per portare l’arte visiva sul palcoscenico assieme alla musica. Sono il gioco e la sfida, dunque, ancora una volta, a fare da filo conduttore all’interno di tutta la programmazione di Time in jazz. Questo gioco sottile tra realtà e finzione che è alla base dell’arte e della sua spettacolarità.

Ma la follia, in questo festival del 2004, è anche la stessa Berchidda con la sua miscela esplosiva di genti, arti, musiche, sapori e relazioni da vivere; ed è sempre Berchidda a suggerire ai numerosissimi artisti internazionali presenti il tema musicale da svolgere.

"La Follia" è infatti una melodia popolare (ma anche una danza) di origine portoghese, la Folia, risalente alla fine del quindicesimo secolo, che fu impiegata nei secoli successivi come base per variazioni strumentali sulle quali si cimentarono compositori sia dell’epoca barocca (Corelli, Frescobaldi, Cherubini, Vivaldi e Bach) che più moderni (come Listz, Nielsen e Rachmaninov). Oggi questa sorta di Ciaccona stilizzata - divenuta una sorta di esercizio di stile per più di quaranta compositori dal 1600 fino al ‘900 - approda a Berchidda dove, in perfetta sintonia con la tradizione improvvisativa del jazz, diversi artisti contemporanei di tutti i generi verranno invitati a proseguire il percorso folle della variazione e della estemporaneità nell’arte.

La vogliamo chiamare ancora malattia dunque? Se sì, la nostra speranza è che il germe si propaghi… A Berchidda, nelle notti di ferragosto, "le stelle sono tante e si è un po’ più vicini al cielo...". Tante quante ne avrebbe volute Jimi Hendrix, e vicine quanto avrebbe voluto Corelli mostrandoci nel Seicento come l’arte di "far campeggiare il violino" non fosse fine a se stessa ma rendesse questo strumento un’autentica voce umana in grado di intonare fughe o di ingannare l’ascoltatore nelle veloci sequenze virtuosistiche. Strumento parlante, quindi, come tutti gli strumenti, in grado di disegnare con "metodo" l’intero universo avvicinando l’uomo a Dio e ai misteri dell’infinito che altro non sono che i misteri della nostra Vita.

E’ forse nella elementarietà delle otto battute della Follia corelliana dunque il punto di raccordo tra la semplicità dell’opera d’arte e il dogma della creazione? Chissà! Jimi Hendrix e Arcangelo Corelli, se ancora vivi, sarebbero forse venuti volentieri a spiegarci… in una notte di ferragosto piena di stelle.

Paolo Fresu

Fonti bibliografiche:

"Elogio della Follia" di Erasmo da Rotterdam
www.liberliber.it

"Elogio della Follia, elogio di Erasmo" di Donatella Ferretti
www.ragionpolitica.it

"La follia di Giordano Bruno" di Richard W. Pogge, Guido del Giudice, Claudio D'Antonio e Ramon Mendoza
www.giordanobruno.info

"Kant e la Musica" di Piero Giordanetti
http://filosofia.dipafilo.unimi.it

"Kant, la regola e la passione – Il ruolo dell’immaginazione nella critica del giudizio" di Pietro Ratto
www.boscoceduo.it/KantGiudizio1.htm

"Genio e follia. Malattia mentale e creatività artistica" di Karl Jasper, a cura di U. Galimberti, Rusconi, Milano 1990.

"I due volti della follia" di Enrico Tozzi
www.prodigio.it

"Ipotesi per una lettura retorica delle variazioni su ‘La Follia’ Opera V, 12 di Arcangelo Corelli" di Giuseppe Fagnocchi
http://conservatoriofoggia.it

"Arcangelo Corelli – Cronologia" di Giuseppe Fagnocchi
http://conservatoriofoggia.it

"‘Follia’ – Dictionnaire pratique et historique de la musique"
http://dictionnaire.metronimo.com