Home page

 
  Time in Jazz 2016  
  Time in Jazz 2015  
  Time in Jazz 2014  
  Time in Jazz 2013  
  Time in Jazz 2012  
  Time in Jazz 2011  
  Time in Jazz 2010  
  Time in Jazz 2009  
  Time in Jazz 2008  
  Time in Jazz 2007  
  Time in Jazz 2006  
  Time in Jazz 2005  
 
1. Il calendario
2. Il programma
3. Paolo Fresu: Il segno e la musica verso la primordiale e sciamanica metafora dell’arte
4. Digital e Trance: faranno male?
5. L'estasi mistica dei Dervisci
6. Tabloid
 
  Time in Jazz 2004  
  Time in Jazz 2003  
  Time in Jazz 2002  
  Time in Jazz 2001  
  Time in Jazz 2000  
  Time in Jazz 1999  
  Time in Jazz 1998  
  Time in Jazz 1997  
  Time in Jazz 1996  
  Time in Jazz 1995  
  Time in Jazz 1994  
  Time in Jazz 1993  
  Time in Jazz 1992  
  Time in Jazz 1991  
  Time in Jazz 1990  
  Time in Jazz 1989  
  Time in Jazz 1988  
 
 
 
 
   
3. Paolo Fresu: Il segno e la musica verso la primordiale e sciamanica metafora dell’arte  

Il segno e la musica verso la primordiale
e sciamanica metafora dell’arte
di Paolo Fresu

Il critico italiano Gianfranco Salvatore, curatore di un interessante libro sulla Techno-Trance, scrive nella sua prefazione: "Gli anni di techno e di musica digitale hanno risvegliato nella nostra civiltà tecnologica e metropolitana un’antichissima risorsa vitale: la capacità di trascendere il proprio corpo per accedere, attraverso la musica e la danza, alla dimensione dell’ignoto, dell’altrove e dunque della trance".

In un recente convegno, svoltosi a Venezia nel 2002 sul tema "Musica e stati alterati di coscienza", si è riflettuto in modo approfondito sui poteri della musica che da sempre modificano la nostra percezione emotiva e sull’associazione sistematica tra musica e stati transitori di alterazione delle attività psichiche (trance, estasi, sdoppiamento o sovrapposizione di personalità, visione, "viaggio" mistico, ecc.) che è riscontrabile alle più diverse latitudini e nei riti a sfondo terapeutico e religioso di molte culture e società tradizionali.

"Essa costituisce tuttora - si scrive nella prefazione al convegno - un tratto caratteristico dei cosiddetti culti di possessione africani e mediterranei, dello sciamanismo euroasiatico e amerindiano, delle pratiche devozionali della mistica islamica e anche di alcuni nuovi riti cristiani. Già rilevata da Platone e Aristotele, questa singolare relazione fra musica e stati non ordinari di coscienza è divenuta oggetto di particolare attenzione soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo scorso a seguito di approfonditi studi antropologici e storico-religiosi sulle tecniche e le religioni ‘estatiche’ suscitando anche un certo interesse di massa grazie alla particolare diffusione di alcune ricerche, come quelle di Ernesto De Martino e Diego Carpitella sul tarantismo pugliese o di Métraux sul vodu haitiano".

E’ stato il grande fotografo sardo Franco Pinna a documentare parte dello straordinario lavoro di De Martino: dalla inchiesta a Tricarico del 1952 fino alla ricerca sul tarantismo nel Salento del 1959 passando per la "spedizione" in Lucania del 1952, questa prima forma di "antropologia visuale" racconta in un interessante libro fotografico quel rapporto tra Sud e magia e tra magia e musica che è alla base, ad esempio, del nuovo fenomeno legato al tarantismo pugliese, oggi prepotentemente alla ribalta.

Dal convegno di Venezia si evince quanto il contributo dell’etnomusicologia si sia rivelato fondamentale nello studio sulle potenzialità della musica in rapporto all'induzione verso condizioni estatiche o di trance; in particolare, il noto saggio di Gilbert Rouget su "Musica e trance" (1980) ha proposto una completa classificazione dei vari fenomeni avanzando precise ipotesi sui rispettivi ruoli che musica, danza, rito e finalità terapeutiche giocano nello strano meccanismo dei riti di possessione.

Negli atti del convegno di Venezia si legge ancora: "Se per alcuni anni la discussione scientifica sui rapporti fra musica e stati non ordinari di coscienza è stata molto vivace e ricca di contributi è nell’ultimo decennio che il dibattito si è progressivamente attenuato, lasciando aperti non pochi interrogativi circa l’effettivo ‘potere’ - puramente emozionale e comunicativo o anche psicofisiologico - della musica all’interno dei vari dispositivi terapeutici e religiosi tradizionali. Paradossalmente, però, le questioni sollevate si sono riverberate al di fuori degli ambiti scientifici, favorendo indirettamente un proliferare di nuovi fenomeni: dallo sviluppo di particolari tecniche terapeutiche con musica, quali ad esempio la ‘respirazione olotropica’ sperimentata a partire dagli anni ‘70 dal medico praghese Stanislav Grof in California, a un interesse crescente delle nuove generazioni occidentali per alcune pratiche coreutico-musicali tradizionalmente connesse alla trance o all’estasi".

Un esempio tra tutte quelle dei rituali gnâwa del Marocco o dei dervisci mevlevi turchi che avremo il piacere di ospitare proprio in seno al nostro festival. Ma come riesaminare oggi il nesso musica/trance e soprattutto come svolgere questo tema all’interno di un festival di jazz come il nostro?

In Marocco, in occasione della festa della Achura i bambini ricevono in dono dai genitori un piccolo tamburo (ta’rija) per praticare il ritmo di possessione con cui si invoca la presenza della santa Lala Mnena, che ha il potere di far entrare in trance. Nei ritmi complessi e nelle danze di possessione praticate dalle tribù Gnâwa (di cultura nera) e Jahjûka (di cultura bianca), il suono delle percussioni influisce sul corpo alterando la frequenza delle onde cerebrali e quindi inondando le zone sensibili del cervello. Si verifica così un aumento della produzione di ormoni da parte del sistema ghiandolare, che a sua volta influisce sulle emozioni e sulla mente. Se lo stato di trance è uno stato di coscienza indotto a livello fisico per liberare lo spirito, è per questo che nelle cerimonie di trance si usano ritmi fortemente ossessivi, capaci di provocare i necessari mutamenti fisici.

Si tende del resto a definire sommariamente "musica" un insieme di suoni articolato e armonioso, mentre questi altro non sono che onde vibrazionali e noi siamo fatti di vibrazioni elettromagnetiche. In un altro interessante saggio sulla "Musica come nutrimento", Carlo Di Stanislao sostiene che la regolazione di molte funzioni del corpo umano, animale o vegetale, è dovuta proprio a onde vibrazionali coerenti (studi di Froelich, Popp, Del Giudice, Kervran, Vithoulkas e altri recentissimi sugli effetti dell’omeopatia, della cromoterapia, del soft-laser, della musicoterapia), e studiosi del calibro di Bienveniste affermano che qualsiasi sostanza agisce attraverso la sua specifica vibrazione, piuttosto che grazie alla sua composizione molecolare.

Oltre all’elemento ritmico incalzante, è dunque l’elemento sonoro a definire le potenzialità evocative e vibrative dello tsunami sonoro che induce all’alterazione degli stati di coscienza. Quel flusso stratificato e circolare fatto di loops e campionamenti digitali che, come scrive ancora Salvatore, "trasfigurano lo strato armonico verso uno strato timbrico e/o di contrappunto forsennato"; ed è proprio questa risultanza che il musicologo Roberto Agostini definisce "contrappunto amelodico".

La facilità di pilotare moderni sequencer, multieffetti digitali e computer con programmi di registrazione musicale, ha facilitato enormemente quel percorso che porta a trovare una precisa e logica relazione tra una musica apparentemente spoglia di contenuti armonici e priva (sempre apparentemente) di pensiero costruttivo, anche se c’è un preciso filo conduttore e un riferimento neanche troppo indiretto tra il tardo Debussy, John Cage, Stravinskij e Xenakis con quell’Ottocento teso verso uno sviluppo esasperato della melodia e della densità armonica.

In questo contesto è evidente quanto il jazz abbia contribuito in maniera forte, in quanto linguaggio musicale nato nel Novecento, a rompere gli argini della corretta armonia, dell’esasperata melodizzazione e dunque dell’estetica canonica.

Il 18 Febbraio del 1969, il trombettista Miles Davis entra nello studio "B" della Columbia assieme a Wayne Shorter, John McLaughlin, Herbie Hancock, Chick Corea, Joe Zawinul, Dave Holland e Tony Williams. Sei mesi dopo l’album è nei negozi: si intitola "In A Silent Way" e inaugura, a dispetto del titolo, l’era meno silenziosa della storia del jazz con i suoi suoni acidi e duri. Nello stesso momento i teorici e i giornalisti coniarono un termine per definire un nuovo stile: quello della "fusion" che marcherà fortemente gli anni Settanta e i primi Ottanta…

Ma se il concetto di fusione messo in atto dal trombettista dell’Illinois rappresenta l’apertura estrema del jazz verso le altre musiche, è nel messaggio intrinseco che bisogna trovare la chiave che aprirà le porte alle "musiche altre" per andare verso una visione più cosmopolita dell’arte che conduce il jazz, musica "meticciata" per antonomasia, da una dimensione di nicchia verso quella popolarità che oggi ha raggiunto il suo apice.

Se il popolo dei rave rappresenta quella risposta all’implosiva condizione elitaria del jazz degli anni Settanta, è ora nelle grandi kermesse estive che si può toccare per mano quella sorta di ebbrezza collettiva che Gilbert Rouget constata come una nuova necessità comunicativa: il movimento (in quanto opposto all’immobilità estatica), il rumore (opposto al silenzio), la presenza di altre persone (opposta alla solitudine) e l’iperstimolazione (opposta alla privazione sensoriale) sono individuati e catalogati anche da Gianfranco Salvatore come i punti cardine dell’esigenza di incontro e di fruizione collettiva, e appartengono, a mio avviso, sia al mondo del rave che a quello, ad esempio, del nuovo jazz scandinavo, turco o newyorkese.

Time in jazz, che quest’anno diventa maggiorenne e che pensa per eventi (non nel senso biecamente commerciale del termine) e per incontri e scontri attraverso un armonioso bombardamento di stimoli e di accadimenti, non poteva non affrontare, nel segno e nella musica, il "transire" verso la primordiale e sciamanica metafora dell’arte.

Paolo Fresu

 

Riferimenti bibliografici:

1. "I Viaggi nel sud di Ernesto de Martino"
A cura di Arturo Zavattini, Franco Pinna e Ando Gilardi
Bollati Boringhieri editori / Maggio 1999

2. "Techno-Trance"
A cura di Gianfranco Salvatore
Saggi di R. Agostini, D. D’Arcangelo, M. De Dominicis, S. Guerra Lisi,
G. Lapassade, P. Pagoda, G. Salvatore
Castelvecchi editore / Maggio 1988

3. Gilbert Rouget "La musique et la trance"
Gallimard Editions / Paris 1980
"Musica e Trance" Edizione italiana riveduta e accresciuta
Einaudi Editore / Torino 1986

4. "Gnâwa & Jahjûka Trance"
http://www.italyproduces.com/morocco/musica

5. "Musica e stati alterati di coscienza: una questione ancora aperta"
Istituto Interculturale di studi musicali comparati
Seminario internazionale di studi Venezia, 24/26 Gennaio 2002
http://www.cini.it/fondazione/03.istituti/iismc/eventi/asc2002.htm

6. "La musica come nutrimento. Generalità ed aspetti legati al modello medico cinese" - Dietetica Medica Scientifica e Tradizionale,
A cura di Carlo Valente e Carlo Di Stanislao
CEA Edizioni / Milano 1999.