Digital e Trance: faranno male? Un melting pot totale sicuramente reversibile di Vittorio Albani
Digital Trance. Bel tema, ho pensato subito. E poi ce n'è a bizzeffe… anche se in realtà di questi termini abbiamo piene le orecchie e sebbene non esista nulla che li abbia mai legati storicamente, almeno così come ce lo saremmo aspettato.
Forse c'entra la filosofia, o parte di essa. Da quando esiste la mania dell’etichetta o della catalogazione a tutti i costi, abbiamo una concezione più o meno sicura di questo tema. Ma la verità è che non esiste niente di "puro" che unisca i due termini sotto lo stesso tetto. O meglio, non esiste con i crismi della catalogazione d.o.c. O forse , invece, è sempre esistito; nella Babele analitica del tempo digitale o nelle teste pensanti delle nuove architetture futuribili, nel pennello con le setole antiche di qualche estremo pensatore d’immagine. Gli artisti, quelli veri, faranno festa. Con la musica è diverso, ma ce la faranno lo stesso.
Dietro a quei due termini c'era forse una sorta di minimalismo storico: quello acustico di Steve Reich o quello elettronico di Philip Glass; forse entrambi benedetti dall’anima di Terry Riley o della mente di qualche californiano bruciata dagli acidi. Oggi segue le rotte del rave o quelle antesignanamente "out" che uscivano dai locali alternativi di San Francisco, veicolati dalle filosofie "corrotte" (così dicevano a quel tempo) del Rhythm and Noise Ensemble di Naut Humon, capace di definirsi "traffic controller", principe delle "sinfonie rumoristiche" ; dissonanti, metallurgiche eppure in un certo senso wagneriane, avrebbe forse scritto Lester Bangs.
Poi è cambiato tutto e il testimone, dopo essere passato dalle terre australiane a quelle islandesi e poi ancora da quelle svizzere a quelle d’Albione, finalmente al Nord dei Nord, oltre a quella Germania che ne ha fatto un marchio di fabbrica per Ibiza e succursali. E Wesseltoft è sembrato esserne padrone assoluto per un lungo momento; addirittura geniale quando ha ipotizzato "nuove concezioni jazzistiche" metabolizzate dalla macchina. Ancora una volta salta in mente il pensiero di quel sant’uomo di Brian Eno, primo – fra tutti – a stabilire la legge che – per essere salvata e vivificata – la musica delle macchine avrebbe dovuto essere comunque guidata dall’uomo. E' un po' ciò che più nelle gambe e meno nella mente profetizzò Paul Oakenfeld, quando partorì l’idea – sposata poi da tutti i locali che si rispettano e tremendamente alla moda - delle zone "chill out", per riportare alla realtà un fisico martoriato da pressioni sonore una volta impensabili.
C'è poi la trance: in questo senso, una sorta di discesa nel Maelstrom totale, lasciando probabilmente alle spalle l’abrasivo e il subliminale. Vengono in mente altri due nomi: Meredith Monk e Diamanda Galas, guarda caso anche loro invitate a festival che portano il termine "jazz" nel proprio nome. E Peter Gabriel, oppure Robert Fripp, ben consci del fatto che la purezza del suono più acustico sia una sorta di trance elettronica in un mondo che è fatto di imbecillità imperante, capace di ridurre il suono a un mero esercizio di divertimento tout-court. Difficile? Per niente, se si pensa alle centinaia di migliaia che ogni anno, ad un certo punto della settimana, in piena notte, fuggono dalle bombe delle città e si rifugiano nell’entroterra di spiagge desolate, hangar abbandonati e si avvinghiano a torri di casse e diffusori issate sul pianale di un rimorchio di Tir, per godersi bombe nelle orecchie firmate da mr. Decibel in persona.
Digital Trance non è nulla oppure il tutto contemporaneo: più o meno una mappa aggiornata di ciò che non dovrebbe essere più nelle corde di un violino, anche se di violini è ovviamente sempre più piena la possibilità. Anche, con le dovute differenze, nelle aree disco più tradizionali della riviera romagnola. Moda, letteratura, arte e tendenza: dentro c'è tutta la digital trance possibile ed immaginabile. Uno dei siti di riferimento di un movimento che non può nascere - anche se lo vorrebbe - perché il tema è troppo "vasto", troppo "sporco" e troppo "furbo" è Elektrobar.com dove psytrance, chillout, house e trip-hop + storico drum&bass la fanno da padrone accanto a veri e propri "Starship Trooper" come Atmos, Astrix, S-Range oppure Lemon 8. E intanto, Gianluca Petrella fa girare nel suo lettore spazi onirici che abbracciano finlandesi che imitano Sun Ra oppure teutonici dee-jays, figli degeneri dei Kosmische Kuriere dei Settanta. Digital Trance, insomma. E questo non può essere che un inizio. Klaus, intanto, ride sotto i baffi e Fresu è in cucina a preparare il pranzo.
Vittorio Albani |