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02. Note di uno spettatore - di Marco Senaldi  


Offrimi il cuore
Note di uno spettatore

di Marco Senaldi

Collaudo
Che cos’è Offrimi il cuore? Trattandosi di un artefatto abbastanza insolito, la domanda è tutt’altro che oziosa. Forse, possiamo iniziare a dire che cosa Offrimi il cuore non è. Certo, non è la videoregistrazione di un album, anche se i musicisti invitati a partecipare sono numerosi e variegati come per una delle migliori jam session. D’altra parte, non è una performance artistica poiché appunto i musicisti non fanno qualcosa di diverso che suonare. E non è un’opera di videoarte, poiché l’intenzione estetica sembra più che altro un risultato collaterale dell’insieme…. Ma con tutto ciò si tratta di un esperimento estremamente affascinante.
Quaranta musicisti infatti sono stati invitati ad auscultare il proprio battito cardiaco amplificato e a improvvisare su questo inedito tappeto sonoro. Basta questo per capire che non si tratta di semplici riprese di musicisti all’opera: lo strano, profondo e ancestrale rumore di un cuore che batte facendo da sottofondo alle performance musicali, non solo le rende particolari, ma ne trasfigura il senso in direzioni inedite. Le luci spioventi, la solitudine, le riprese avvenute tutte in interni, sono altrettanti segni di una serialità estetica che incornicia tutte le performance. Offrimi il cuore così lascia aperte le porte a una serie di ipotesi – come se fosse un artefatto anonimo, un appuntamento al buio che alcuni tra i più grandi jazzisti si sono dati quasi spontaneamente, per “provare”. Ma provare cosa? Il termine “prova” pare qui del tutto adeguato, nel duplice significato di esecuzione preliminare – o anche proprio di “test”, nel senso verifica di una possibilità non ancora esplorata. Ecco - Offrimi il cuore è un collaudo: una verifica dei limiti del gesto stesso del suonare. Se suonare significa sia ascoltare, che agire col proprio corpo su uno strumento, cosa succederebbe a suonare con il proprio corpo come sottofondo e come strumento? Cosa cambia nella prestazione artistica di un musicista se nel realizzarla è messo in condizioni di sentire “letteralmente” ciò che accade dentro di lui? E’ come fare e contemporaneamente vedere se stessi mentre si agisce, uno strano sdoppiamento a cui non facciamo più caso, anche se è oggi la regola, imposta o suggerita dai metodi stessi dei media audiovisivi.

Cuore
Da sempre il cuore ha goduto di una pessima reputazione, e ha dovuto subire il destino infelice di essere ritenuto la sede privilegiata di tutti sentimenti possibili. Pur essendo vero che le emozioni accelerano o rallentano il battito cardiaco, l’uomo ha sempre aascoltato poco il proprio e l’altrui cuore, forse per timore di restare coinvolto da questo suono – certo il più antico che il vivente abbia mai sentito, avendolo udito come prima cosa nel ventre materno. Così, ci si è fatti l’idea del cuore come di un organo passivo, collocato in mezzo tra il cervello e il sesso – i quali invece, per le sublimi raffinatezze intellettuali o per i rudimentali piaceri carnali, sembrano avere un ruolo da protagonisti. Ma pensare che siano le emozioni a far battere il cuore è un po’ come dire che sono i pensieri a stimolare il cervello, quando invece ci sembra, al contrario, che sia quest’ultimo a crearli. E se fosse così anche per il cuore? Se anche lui fosse non il ricettore passivo delle emozioni, ma un organo nobile e indipendente che dà loro vita e voce? Pensiamo sempre al cuore come a un organo sì romantico, ma muto, goffo, ingolfato di sangue, incapace di esprimersi, e pertanto poco più di un semplice stantuffo che tiene in vita la delicata macchina del corpo. E se invece dovessimo ascoltarlo con più attenzione, se anche lui fosse dotato di una voce non meno affascinante, ad esempio, del respiro?
Ascoltare il cuore, il proprio o l’altrui – che cosa strana e inquietante, che abbiamo dimenticato di fare per tutto questo tempo, in cui il cuore ci ha fedelmete seguito e, certo, parlato, a modo suo. Offrimi il cuore innesca il dubbio che il cuore sia, per parafrasare Deluze al contrairo, un “organo senza corpo”, o meglio, un vero e proprio strumento che tra l’altro è dotato di un suo tibro, di una sonorità e soprattutto di un ritmo del tutto peculiari.

Arte
Il problema del cuore è essenzialmente il suo rapporto con l’arte. Si danza con braccia  e gambe, si suona col fiato o con le dita, si dipinge con le mani, ma si può fare arte con tutto il corpo, o con molti corpi, e per scrivere basta la mente e un organo qualsiasi, controllabile dalla volontà, come ad esempio una palpebra (quella che permette al protagonista del film Lo scafandro e la farfalla di Schnabel di redigere le sue memorie). Si tratta pur sempre di organi di cui possiamo disporre a volontà, pertanto iscrivibili entro una intenzionalità espressiva. Ma del cuore non ce ne facciamo niente, proprio perché non è soggetto alla nostra volontà – ed è dunque, da un punto di vista artistico, inutilizzabile. Eppure il cuore detiene il segreto più profondo della nostra identità: non ci sono due cuori che siano uguali, non ci sono due battiti che si possano sovrapporre, e almeno su questo la tradizione non sbaglia: noi siamo il nostro cuore, lui è il nostro centro, segreto e inascoltato. Con lo storico emergere della body art, negli anni ’70 del Novecento, l’arte ha integrato il corpo nel proprio linguaggio espressivo, ma è interessante riflettere sui modi con cui lo ha fatto. In effetti anche se in apparenza sembrerebbe imparentata con le arti coreutiche, quali danza e mimo, la bodyart è una variante della scultura. La bodyart non impiega il corpo per le sue funzioni espressivo-mimetiche, ma come fenomeno proprio e peculiare, in grado di agire nello spazio (si pensi a Bruce Nauman) o soprattutto di subire (di essere ferito, colpito, agito da qualcun altro; si pensi alla Abramovic, a Acconci o a Chris Burden). Ma nemmeno la bodyart ha veramente esplorato le potenzialità sonore del corpo – cosa che solo gli artisti coinvolti nell’universo musicale, da Cage a Chiari, a esponenti della poesia sonora, come A. Lora Totino, hanno saputo fare. Nel lavoro di questi artisti il corpo è impiegato non solo come un tramite per agire su uno strumento musicale, ma come uno strumento musicale esso stesso – anche se raramente si è arrivati a usare i suoni interni del corpo. Ascoltarsi dentro – dev’essere quest oil segreto che ha stregato i musicisti coinvolti nell’operazione di Offrimi il cuore, i quail, pur secondo modalità ogni volta diverse, mettono in scena una forma di arte del corpo paradossalmente né attiva né passiva, ma, si direbbe, “estatica” nel senso etimologico di ek-stasis, uscita da sé. Uscire da sé per farvi ritorno.

Sistema Binario
E’ proprio col suono interiore generato dal battito cardiaco che interagiscono i musicisti invitati in Offrimi il cuore. A grandi linee, sembrerebbe che la loro reazione possa distinguersi in tre grandi gruppi: quelli che utilizzano il suono del loro cuore come una sorta di metronomo, sopra il quale o seguendo il quale si può organizzare il pezzo (ad esempio Uri Caine); quelli che invece provano a seguirne il ritmo interpretandolo, non solo come tappeto ritmico, ma come parte integrante della loro musica (come Paolo Fresu); e quelli che invece tentano persino di “suonare” il loro cuore (come Ph. Garcia), cioè che non solo ascoltano e cercano di seguire la cavalcata del loro cuore, ma arrivano a sforzarsi di alterarne il battito. In questo duplice intrecciarsi espressivo, il flusso (sanguigno  e sonoro) si dimostra essere non uno scorrere indistinto, ma un articolarsi liquido e ritmato, un equilibrio punteggiato che parte da una semplice opposizione contrazione-espansione, ma finisce per dar luogo a elaborate “variazioni sul tema”. Il cuore rivela dunque l’identità di colui a cui appartiene, ma, insieme, il suo “ritmo” svela la natura “aritmetica” di ogni flusso, musicale e naturale, artistico e fisico – sempre basato sul doppio registro del colpo e della pausa, del vai e del vieni, del suono e del silenzio.
Allora non è forse del tutto un caso che Offrimi il cuore sia al tempo stesso un’antologia musicale e un progetto video, o meglio, che una cosa sia inscindibile dall’altra. Infatti le immagini che possiamo ammirare nell’installazione che le raccoglie, sono immagini digitali, realizzate con mezzi di ripresa elettronici e restituite da monitor elettronici. Non sono cioè immagini analogiche, nate per contatto con il loro referente, ma visioni digitali che ritraducono il referente reale (il musicista e i suoni che crea) nei termini complessi di una struttura binaria che alla sua radice è estremamente semplice. I mattoni dell’informazione digitale, i cosiddetti byte, sono infatti costituiti da bit, cioè da “binary unit”, unità binarie, dunque basate sul sistema numerico a due combinazioni, classicamente 0 e 1, ovvero on – off, acceso spento. Ecco: questo sistema binario – non è forse esattamente quello di sistole  e diastole, ovvero quello della pulsazione cardiaca?


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