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01. Offrimi il Cuore - di Giannella Demuro  

 

Offrimi il cuore
di Giannella Demuro

La ricerca visiva contemporanea, particolarmente in questi ultimi decenni, pare aver definitivamente superato il limite del genere – pittura, scultura, fotografia – per orientarsi sempre più nella direzione di un’arte globale, di una prassi che al “limes”, alla frontiera chiusa, preferisce - con una sostituzione fonetica che è al contempo intrigante slittamento semantico - il “limen”, la frontiera da varcare, da attraversare (F. Horciani - D. Zolo), quella soglia che è il principio di un nuovo agire, di un fare che è processo comunicativo sperimentale, crocevia di linguaggi espressivi vocati alla contaminazione e all’interazione.

Non poteva essere altrimenti, in un’epoca dominata da mutazioni, ibridazioni e manipolazioni, un’epoca in cui lo sviluppo straordinario delle tecnologie e la globalizzazione della cultura elettronica e informatica consentono azioni fino a poco tempo fa impensabili. In arte, questa nuova consuetudine dal ritmo accelerato e incalzante, ha segnato indelebilmente il processo creativo, catalizzando l’attenzione e la creatività sulle potenzialità dei nuovi media, favorendo l’intersezione dei linguaggi e caratterizzando il lavoro artistico nella direzione di dinamiche comunicative, socializzanti e relazionali.
Sono frutto di questo diverso approccio metodologico le prime collaborazioni tra gli artisti, particolarmente tra artisti visivi e musicisti, che pur con esiti inizialmente incerti e discontinui, attraverso il sovrapporsi di contaminazioni di vario genere hanno dato l’avvio, già a partire dalla metà del secolo scorso, alla creazione di nuovi codici e linguaggi espressivi contribuendo in misura determinante a ridisegnare le geografie della prassi artistica contemporanea, tanto che performance, live set, happening e installazioni multisensoriali sono tra le declinazioni artistiche più diffuse e più rappresentative del nostro tempo.

In questa direzione si colloca Offrimi il cuore – progetto multimediale di Antonello Fresu, artista che si firma come Nero Project – in cui convivono arte visiva, musica, video e performance. Pur avendo sviluppato un percorso di ricerca fortemente connotato, autonomo e coerente, riconducibile al recente scenario visivo contemporaneo, Nero Project percepisce il proprio fare artistico come processo collettivo. Non è raro, pertanto, nel suo lavoro, imbattersi, come in questo caso, in un’opera corale dominata da una pluralità di voci e di presenze.

Ciò nonostante l’opera non appare come una disomogenea combinazione di portati e di estetiche, ma possiede una solida coerenza progettuale e stilistica, che deriva da un nucleo creativo individualmente strutturato attorno al quale si fondono armonicamente gli apporti esterni, non privi, a loro volta, di riconoscibilità e autonomia.
Fil rouge del progetto è il cuore, centro nascosto dell’essere, nucleo pulsante e strumento primordiale che scandisce il ritmo dell’esistenza, luogo della vita e della morte, ma anche simbolo arcaico dell’anima, perenne e universale essenza metafisica che dimora nell’individuo, interlocutore irrinunciabile nell’incontro con se stessi.
Partendo da questa idea,l’artista conduce una riflessione profonda sul senso e sulle modalità dell’esistere, che lo porta a scardinare le consuetudini di una prospettiva logora e ad ipotizzare nuove coordinate di consapevolezza che permettano di elaborare un’inversione dell’attenzione della coscienza, normalmente rivolta verso l’esterno e verso gli altri, riconducendola verso l’interno, cioè, verso la parte più profonda di sé, quella da cui i meccanismi abituali del vivere spesso distolgono. Ovviamente, questa prospettiva dissonante non limita il raggiungimento della percezione dell’altro, ma, anzi, lo agevola, lo consente in modo più consapevole e maturo, attraverso il recupero del contatto con il proprio io, con il proprio cuore e la sua voce, con quel qualcosa che per ognuno è talmente “intimo” e profondo che, in maniera immediata, rimanda al legame con la vita e con la morte, con la finitezza e l’assoluto.


Questo legame con il mondo interiore, naturale ma irrazionale, oggi risulta spesso spezzato, perduto in un hic et nunc che costringe il singolo e la collettività dentro le rigide gabbie del contingente. All’artista che coglie, dunque, lo sradicamento e l’insicurezza che accompagnano il presente e legge oltre il visibile dell’ordinaria quotidianità, spetta il compito di riannodare le trame smarrite, di individuare i flussi sopiti, le correnti sotterranee che ciascuno variamente accoglie dentro di sé.
È una riflessione che Fresu esplicita in una performance del 2009, Dowsing, quando, appropriandosi dell’antico rituale dei rabdomanti contadini, traccia una mappatura delle correnti d’acqua sotterranee rilevate all’interno di uno spazio circoscritto al perimetro espositivo, e così facendo indica quale debba essere il compito dell’arte e il ruolo dell’artista nel ristabilire la relazione della coscienza con l’inconscio, individuale e collettivo.
Non di meno, tuttavia, Fresu ritiene che la pratica artistica possa essere un’esperienza di condivisione, una dinamica di reciprocità che coinvolge e impegna allo stesso modo l’artista e il fruitore, ed è proprio da questo input che nasce, nel 2007, Offrimi il cuore.


Il primo nucleo del progetto è un’installazione performativa interattiva, dove lo spettatore non solo è invitato a partecipare, ma diventa egli stesso la condizione sine qua non per l’esistenza dell’opera. Un ampio ambiente buio, una poltrona posta al centro dello spazio e illuminata solo da un suggestivo e morbido fascio di luce, una strumentazione digitale per captare la voce del cuore e amplificarla in diretta. E i cuori. I cuori degli spettatori che accettano la proposta di Nero Project di invertire il flusso del processo creativo – dove è abitualmente l’artista a mettere in mostra il suo pensiero e il suo sentire – e di offrire il proprio cuore, la propria anima. Solo così l’opera potrà vivere, nell’oscurità di uno spazio sonoro abitato da un cuore lasciato in dono, che continuerà a battere finché un altro non verrà a sostituirlo, a prenderne il posto. E poi un altro, e un altro ancora, come nell’ordine delle cose e della vita, ma con una nuova evidente consapevolezza.


Offrimi il cuore appare da subito come un lavoro concluso ma aperto ad ulteriori sviluppi, tanto che già nello stesso anno, Fresu dà l’avvio ad una differente declinazione del progetto, invitando altri artisti a dialogare con se stessi, proponendo a musicisti, danzatori, artisti visivi e performer, di improvvisare usando come base ritmica il battito del proprio cuore, ascoltato in diretta grazie all’ausilio di un ecocardiografo ad ultrasuoni.

Questa nuova esplorazione lunga cinque anni, compiuta tra il 2007 e il 2012, nelle strutture percettive del sé, è un incontro introflessivo con la voce invisibile della fragilità umana, un dialogo imprevedibile ma non casuale dall’effetto straniante e perturbante. Nero Project crea le condizioni più idonee per consentire agli artisti di ritrovare il proprio cuore: costruisce un involucro di ombre perché ciascuno possa vestirlo col suono cadenzato della vita, quella propria, quella materna, quella prenatale. In questo luogo non esperito ma noto, echeggia rassicurante il respiro antico dell’universo e l’artista, il musicista, il danzatore, si prepara a fare ciò che il cuore gli suggerisce: a ripercorrere esperienze primarie, a giocare, oppure a tacere, se lo desidera, libero anche di non far niente e restare solo in ascolto.

Come Dean Bowman, che non canta ma si limita ad accogliere il cuore, lasciandosi andare all’emissione di suoni lunghi e consumati, pressoché muti, percepibili solo ad un ascolto più che attento, ma tuttavia pregnanti, presenti, densi. Fiati che sembrano emergere da un tempo lontano, difficili da definire musica, difficili anche da dimenticare. O come Paolo Fresu, che dopo aver improvvisato seguendo il ritmo del cuore, scambia i ruoli dei due strumenti, il cuore e la tromba, e trasforma la nota infinita ottenuta dal suo strumento con l’utilizzo della respirazione circolare, in un suono che diventa a sua volta base sonora per il ritmico incedere dello strumento cuore.
Anche Hamid Drake si lascia cullare dal cuore e al contempo lo culla con una struggente melodia africana, disegnando fiabe sulla pelle del suo frame drum, col tocco lieve delle dita. Allo stesso modo, la matita di Alex Pinna lascia sulla carta presenze rarefatte e oniriche.

Come loro anche i percussionisti di Offrimi il Cuore privilegiano una strumentazione minimale – Pierre Favre, Ettore Fioravanti, Rudy Royston – o, addirittura, rifiutano lo strumento a favore di non-strumenti, come le cassette di cartone usate da Minino Garay, il tavolino suonato da Patrice Heral o la piccola bottiglietta di plastica sperimentata da Trilok Gurtu, come se il confronto con qualcosa di così primordiale e profondo generasse il bisogno di confrontarsi a mani nude con il proprio corpo, limitando qualsiasi mediazione strumentale o tecnica.

Lo stesso accade anche a chi usa come strumento la propria voce. Maria Pia Devito, David Linx, Gavino Murgia e Boris Savoldelli abbandonano le parole per concentrarsi su fonemi e suoni vocali semplificati, con i quali attivare un dialogo più diretto con il cuore e con sé stessi, mentre Cristina Zavalloni, recupera dal cassetto del tempo una vecchia canzone dedicata al cuore e la usa come un giocattolo d’infanzia. Accanto a queste voci umane, anche quella suggestiva e misteriosa delle Sculture sonore di Pinuccio Sciola.

Per i performer e i danzatori l’approccio al corpo appare più semplice e naturale, abituati ad un costante e consapevole contatto fisico con il proprio corpo, e Pi Keohavong, Joan Minguell e Giorgio Rossi, trattano il cuore alla stessa stregua, tentando di modificarne ritmi e tonalità. Esperimento che intriga anche Philippe Garcia che, mentre suona la batteria, cerca di imbrigliare il suo cuore nel ritmo della musica.
Ma non c’è solo la fisicità del corpo umano. La tuba di Oren Marshall e il trombone di Gianluca Petrella risaltano per la loro presenza: non ottoni ingombranti e inerti ma oggetti animati, pretesti per giocare con i suoni e con la vita.


Nella maggior parte delle performance, particolarmente dove lo strumento vincola le modalità del dialogo con il cuore, alcuni musicisti elaborano improvvisazioni musicali che seguono e si intrecciano al ritmo cardiaco: i pianisti Uri Caine, Antonello Salis e Peter Waters, il contrabbassista Paolino Dalla Porta e il violoncellista Paolo Damiani, e con loro Mario Brunello che, pur non improvvisando, con il suo violoncello intesse il ritmo del cuore con le architetture sonore di Bach. Per altri, il battito cardiaco introduce ad una dimensione più intimista, come accade ai pianisti Bojan Z, Tigran Hamasyan, Omar Sosa e George Colligan, ai chitarristi Carlos Buschini, David Gilmore e Brad Jones e assieme ad essi, a Dhafer Youssef con il suo tradizionale oud.

Alla novità del confronto con il cuore si aggiunge poi, per i musicisti di fiati – Max De Aloe, Enrico Rava, Tino Tracanna e Gianluigi Trovesi – la naturale imprendibilità di un cuore che muta il suo ritmo con il movimento del respiro e che costringe a continue e inaspettate variazioni nell’improvvisazione sonora.
La disponibilità degli artisti a mettersi in gioco, pur mantenendo ciascuno la propria riconoscibile e imprescindibile personalità, ha dimostrato che il cuore può essere davvero un inusuale e affascinante strumento musicale da affiancare al proprio strumento d’artista, con il quale dar vita a improvvisazioni ed esecuzioni straordinarie, partiture sonore, corporee o visive incredibili e irripetibili ma, ancor più, ha dimostrato come questo organo vitale, ben lungi dall’essere un mero muscolo elettrificato, rappresenti un varco privilegiato verso la propria sconosciuta interiorità, capace di attivare profonde e indimenticabili interlocuzioni dialettiche con la parte più intima del proprio io.