Babelfish
nuove generazioni
Camilla Calì, Dario Caria, Riccardo Fadda, Feng Fong, Marcello Scalas, Marina Scardacciu, Pinuccia Sini
Lo scopo della mostra è di presentare la ricerca di sette giovani che in Sardegna lavorano sul tema della comunicazione e che utilizzano nella loro produzione la parola, la lettera o la cifra con valore significante in rappresentazioni-istallazioni: Camilla Calì, Dario Caria, Riccardo Fadda, Fen Fong, Marcello Scalas, Marina Scardacciu e Pinuccia Sini. Due di loro, Fadda e Fong, elaborano nella propria opera il linguaggio della loro terra di origine. Riccardo Fadda lavora da tre anni sul tema della lettera X = ICHS, una lettera molto presente nella lingua sarda e che ricorda anche il principio della parola Ichnusa, il nome antico della Sardegna e una birra prodotta localmente e molto popolare tra i giovani. In occasione della mostra la ICHS perde la C nel titolo dell’opera, divenendo IHS, con tutti i significati e i riferimenti cosmici, religiosi ed ermetici che questa parola può avere. Ma la parola per Fadda non è il solo elemento significante della sua opera ed ogni materiale scelto (tutti materiali di utilizzo industriale) ha un suo valore evocativo e significante in un ponderoso insieme concettuale leggibile a più livelli.
Fen Fong parte anche lei dalla lingua delle sue origini non solo culturali, ma anche familiari e in Dad pack care and wish you good health (il titolo inglese è un riferimento agli anni trascorsi con la famiglia d’origine in Canada) utilizza delle lettere del padre scritte in caratteri orientali come componenti di un vestito che si confeziona su misura: attraverso l’utilizzo della lettera si realizza l’accettazione della distanza-lontananza dagli affetti di origine e allo stesso tempo il riconoscimento di alcuni valori che costituiscono l’identità personale, genetica e culturale.
La trasmissione dei caratteri genetici, il funzionamento dei legami molecolari, sinapsi e processi biologici traducibili in lettere, sono stati elementi protagonisti della ricerca di Marcello Scalas, che – partendo dalla struttura palindromica del DNA immagina, in maniera tutt’altro che drammatica – al contrario, piuttosto giocosa – il disfacimento di questa struttura e di altre strutture molecolari in La dissoluzione della compattezza del mondo, opera in cui il giovane artista riprende un suo precedente lavoro realizzato con lo zucchero. Questa materia, lo zucchero, è utilizzata invece nell’istallazione di Casa, dolce memoria, alla cui base c’è il rapporto molecolare tra gli zuccheri e le cellule nervose responsabili dei meccanismi della memoria che si esemplifica nella ricostituzione di un ambiente domestico zuccherino, per il tramite di un brano di Garcia Marquez dedicato alla perdita della memoria in cui per l’appunto si parla della casa.
Camilla Calì svolge un lavoro di ricerca legato alle possibilità espressive della rappresentazione del corpo: il suo mezzo è la fotografia e la parola ha un valore didascalico non sempre necessario. Nei quattro pannelli che compongono il suo lavoro Carnage il tema è la mercificazione del corpo nel mercato globale che riduce la persona a prodotto commerciale usa e getta privandola della sua individualità. L’uomo-merce non ha la parola ma ha un prezzo.
In Uno fallacia filo solvitur, Dario Caria interpreta gli elementi del linguaggio come componenti veicolanti e a loro volta veicolati, della comunicazione. La comunicazione è una rete dove gli elementi del linguaggio viaggiano e si modificano, si semplificano fino a restare cifre o sigle dove il rapporto vocale-consonante perde significato. Ma la rete è composta da un filo ideale che occorre trovare. Il titolo latino evoca componenti ermetiche della ricerca di Caria e i riferimenti culturali di diversa origine, così come i materiali utilizzati si riferiscono alla produzione artistica di qualche decennio fa.
Per Pinuccia Sini, che presenta un Contenitore di parole, la parola è esperienza vissuta ed è esperienza artistica; ha un valore assoluto e un valore di relazione che ha in sé un che di neoplatonico. La parola è utilizzata da Sini nella fase progettuale dell’opera, una fase che non può essere scissa dalla rappresentazione finita, che a sua volta la ingloba senza però rimaneggiarla, senza corromperla: l’opera che contiene l’idea di se stessa. La parola spiega il segno, può essere segno e può spiegarsi da sola o non spiegarsi, ha un valore astratto e un valore concreto, quindi la parola ha un volume, occupa spazio ed ha bisogno di essere contenuta.
Ad un concetto quasi opposto sembra voler condurre Marina Scardacciu con Liberinumeri, un opera composta da tre pannelli a parete e da un intervento sul suolo della stanza. Scardacciu lavora sulla reiterazione di cifre e lettere organizzate a costituire catene senza fine e apparentemente senza significato, diagrammi spiraliformi che si sovrappongono e si ripetono nello spazio, in una libertà solo apparente, di fatto condizionata e direzionata. Una ricerca sull’epilessia, sui suoi effetti sulla percezione e sugli elettroencefalogrammi, sono all’origine del lavoro di Scardacciu che, sostituendo alcuni elementi della piastrellatura della stanza con serialità numeriche allude alla perdita dell’equilibrio e dei punti di riferimento abituali dello stato comiziale.
Le opere di questi giovani, collocate in ambienti diversi della casa Pianezzi, si differenziano come si differenziano gli ambienti all’interno della casa, tuttavia non mancano legami evidenti per scelte tematiche e concettuali: se già il riferimento al titolo (Babelfish, il traduttore in rete di uno dei motori di ricerca più utilizzati) è evidente per esempio nell’opera di Caria e meno esplicitamente attraverso allusioni ermetiche in quella di Fadda, le capsule in eterluce di Fadda richiamano concettualmente la plastica che avvolge il corpo-merce fotografato da Calì, gli ideogrammi delle lettere di Fong richiamano il valore che Sini dà alle parole mentre il lavoro di cucito del vestito si ricollega al concetto di casa di Scalas. La molecola di DNA impazzita di quest’ultimo richiama i diagrammi di Scardacciu in una fluidità di informazioni non estranea alla comunicazione telematica.
Pur essendosi ritrovati compagni di studio e di ricerca in Accademia di Belle Arti e nonostante le analogie evidenti o impercettibili che li uniscono, questi sette giovani non incarnano in assoluto un nuovo spirito artistico unitario, non costituiscono un gruppo né una tendenza , anzi, seguono percorsi diversi, usano materiali diversi (il fatto che nessuno di loro realizzi video è un elemento unitario insufficiente) ed hanno concezioni diverse dell’arte, hanno rapporti diversi con il linguaggio parlato e utilizzano segni, parole, lettere e numeri, con valenze diverse che assumono a seconda dei casi sfumature neoromantiche, scientifiche, sociali o concettualistico-ermetiche.
Andrea Zanella |